O gradskom derbiju u Mostaru pod naslovom “Mostar
derby” na stranicama portala mondofutbol.com pisali su novinari Francesco Fiumi
i Bruno Bottaro.
Tekst prenosimo u originalu.
Mostar derby
Foto: Bruno Bottaro e Francesco Fiumi ©mondofutbol.com
Fudbalski Klub Velež –
Hrvatski športski klub Zrinjski: se non si trattasse di uno dei derby più
sentiti e caldi del mondo, probabilmente non ci sarebbero altri motivi per
raccontarlo.
Non avrebbe
praticamente senso parlare di una partita tra la seconda e la penultima del
campionato della Bosnia ed Erzegovina: il livello tecnico espresso nei 90’
è piuttosto modesto, rare le occasioni da rete, inclusa quella dell’unico gol
del match che regala il successo agli ospiti. Il colpo di testa
di Stojkić viene prima salvato dall’estremo difensore del Velež, ma
poi la sfera rimpalla su Peco e finisce in rete in maniera quasi
tragicomica.
Eppure, siamo a Mostar, seduti in una stanza d’albergo
tormentata dalla voce del muezzin della moschea adiacente, e riusciamo a fatica
a rimettere insieme i pezzi della giornata.
Siamo frastornati,
ciò che abbiamo visto oggi trascende letteralmente il gioco del calcio.
Detto infatti
della povertà di gioco mostrata dai 22 in campo, quello che conta è veramente
tutto ciò che ruota intorno a questa iconica sfida, anche per noi.
Sono da poco passate le 13, siamo seduti al tavolino del bar
più anacronistico dei Balcani. Da fuori sembra un edificio in rovina, la porta
si apre a stento su una piccola sala con le pareti in legno impregnate di fumo.
Gli avventori non conoscono mezza parola della lingua di Shakespeare, ma
un “Dobro jutro. Sarajevsko pivo, hvala” è più che sufficiente a
farci servire due birre ghiacciate. Le beviamo con calma, organizzando gli
spostamenti della giornata, mentre con la coda dell’occhio fissiamo un drappo
colorato appeso alla parete. Ritrae Josip Broz, il maresciallo Tito,
su sfondo rosso, il colore predominante del piccolo bar, come sancito dalla
sciarpa del Velež appesa alla parete.
Nemmeno il tempo di due sorsi di birra e di una sigaretta
che entra un uomo sulla quarantina vestito da muratore. Sguardo fermo, si
toglie i guanti e viene verso di noi. “Parlate inglese?”, domanda. Premesso che
di certo non sapremmo come rispondergli in bosniaco, per evitare problemi di
sorta, non ci resta che fare un cenno di assenso con la testa.
“Sono Asmir, il fratello di Adnan. Mi ha
detto di venire a cercarvi e di portarvi da lui”: ci rilassiamo immediatamente
e lo salutiamo sollevati.
Adnan è il nostro
uomo per la giornata, o almeno dovrebbe esserlo, visto che a due ore dalla
partita ci informa con un messaggio su Viber che non riuscirà a presentarsi
all’appuntamento concordato per problemi di lavoro.
Lo scenario che ci si apriva a quel punto non era
dei più rassicuranti.
Adnan si
dimostrava piuttosto possibilista sul fatto che avremmo potuto bussare comunque
alla porta della Red Army(il gruppo ultras più importante dei Rođeni del
Velež) e chiedere di andare alla partita con loro. Ci aveva portati lui
stesso a conoscerli la sera prima, erano sembrati piuttosto tranquilli, una
media di un metro e novanta per cento chili, ma tranquilli. La sua presenza,
però, aveva certamente fatto la differenza: a questo punto l’idea di
ripresentarci da soli nel loro covo non sembrava esattamente una pensata
geniale.
Tutto però si risolve con Asmir che ci dice che
Adnan ci sta aspettando in una traversa della via principale.
Lo incontriamo
poco dopo, tempo di due chiacchiere e ci ha già chiamato un taxi per mandarci
allo stadio. Lo dividiamo con due ragazze francesi e un americano,
ospiti dell’ostello gestito dai due fratelli. Il tragitto in taxi verso
lo Stadion Vrapčići marca subito la differenza di approccio dei due
gruppi: appena raccontiamo chi siamo e perché siamo a Mostar, i tre compagni di
viaggio ci guardano come se fossimo due pazzi pronti a rischiare la pelle. Una
volta davanti all’ingresso principale, la dodicesima volta che il ragazzo
americano dice soccer invece di football ci fa capire di
dover andare per la nostra strada. Alla faccia delle tre email mandate al club
nell’ultimo mese, riusciamo finalmente ad ottenere due accrediti stampa sul posto.
Siamo dentro, meno di un’ora al fischio d’inizio.
Pettorine azzurre
con scritto “Press”, un lungo viaggio sulle spalle e tanta adrenalina nelle
vene: l’atmosfera inizia ad essere elettrica. L’accredito ottenuto
all’ultimo ci permette di attraversare il campo come vogliamo mentre Edin,
l’uomo incontrato appena fuori dallo stadio, ci consiglia di prendere posto
sulla tribuna stampa.
Una rapida occhiata all’impianto ci suggerisce di
fare l’esatto contrario.
La zona riservata
ai giornalisti al Vrapčići è un pericolante agglomerato di alluminio, dunque
decidiamo di respirare il derby di Mostar nel posto migliore, direttamente sul
campo. Il piano è semplice: Bruno sotto il settore ospiti dello
Zrinjski, ancora vuoto; Francesco sotto la Red Army del Velež.
Calcio d’inizio.
Ai cori roboanti della Red Army non risponde nessuno: i
tifosi dello Zrinjski vengono infatti scortati dentro dieci minuti dopo il
calcio d’inizio. Un cordone di poliziotti si prepara all’arrivo dei 250 ultras
(questa la cifra riportata dal Dnevni List preso in edicola in mattinata). La
scena è surreale, ben diversa dalle aspettative. Alle maglie bianche scese sul
terreno di gioco semi-fangoso del Vrapčići si contrappone il colore nero,
onnipresente sui vessilli imperiosi dei tifosi dello Zrinjski. Qualche vistoso
diverbio con le autorità del luogo ed infine la massa nera prende posto sul
piccolo ma infernale settore ospiti.
Dall’altra parte dello stadio, invece, la Red Army è
meravigliosa da guardare, soprattutto da sotto il loro settore. L’odio verso
gli ospiti si legge sui volti dei tifosi del Velež, andrebbero a fargli la
festa, se solo potessero. Nessun contatto tra le due tifoserie, solo tanto
disprezzo urlato a squarciagola, a cominciare da “Ubi ubi ustaše!”, il coro
preferito di tutte le tifoserie di sinistra di questa parte del mondo. Per la
cronaca, ustaše si riferisce agli ustascia di Ante
Pavelić, ubi vuol dire uccidere.
Nemmeno la morte, però, riuscirà mai a separare la
Red Army dal Velež, perché il motto degli ultras della parte est di Mostar è
una vera e propria sentenza: “Mostar u srcu, Velež do groba”, Mostar nel cuore,
il Velež anche nella tomba.
L’impressione è
che in mezzo a una tremenda crisi di gioco e risultati, dopo essere stati
cacciati dal proprio legittimo stadio (lo Stadion pod Bijelim Brijegom,
antica casa del Velež situata nella parte ovest della città, oggi ospita le
partite dello Zrijnski) al club non restino ormai altro che suoi meravigliosi
sostenitori.
Il derby divampa.
Si cercano
subito, le due tifoserie: i neo-arrivati chiamano, la Red Army risponde. A
mettere d’accordo tutti ci pensa il campo, pronto a donare il verdetto più
amaro ai padroni di casa, già penultimi in classifica e lontani dai fasti della
loro storia. Passa lo Zrinjski con il suo numero 16, e la massa nera esplode di
gioia. Sulle tribune del Vrapčići cade il silenzio, anche se per poco. La Red
Army prova a rialzare il morale dei suoi ragazzi, invano.
Quarantacinque minuti se ne sono già andati,
l’arbitro fischia.
Noi ci ritroviamo
in mezzo al terreno di gioco travolti dalle emozioni, raccontate e vissute in
questi giorni che ci hanno trasportato tra i Balcani. Ed era solo
l’inizio. Perché nell’avvio del secondo tempo è la Red Army a far sapere al
portiere dello Zrinjski che non sarebbe stata una ripresa semplice.
Subito un bengala tra i pali, un’anteprima della
vera e propria sospensione del match: passa qualche minuto, non si gioca più.
La gradinata
dei Rođeni del Velež tira in campo tutto ciò che capita. A
nulla serve l’intervento del capitano Darko Maletic, che sconsolato cammina verso
il tunnel degli spogliatoi. Alle sue spalle, una nuvola di fumo e cori
scandisce il tempo.
Tutto si ferma.
Per diversi
istanti la montagna Velež è l’unico oggetto visibile.
Gli arbitri provano a riportare l’ordine, il fumo si dirada.
Ma qualcosa è cambiato, il Velež prova a credere nella rimonta. Qualche
tentativo sotto la curva di casa non basta: lo Zrinjski è padrone del campo, il
pallone scorre verso un’unica direzione: il novantesimo, minuto in cui il
capitano del Velež, Darko Maletic, viene espulso. Profondo rosso, il derby
è dello Zrinjski, i cui tifosi sono stati accompagnati fuori all’80’
dall’immancabile cordone di polizia.
Resta solo la Red Army, possente anche in uno dei
momenti più difficili della sua storia.
Indimenticabile Mostar.
Don’t forget.
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AUTHOR
Autore per MondoFutbol e un master in Sport Business presso
Leeds Beckett University. Ha lavorato nel Press Office di FC Internazionale.
Scrive su footballnerds.it e ha visto l'Everest, una volta.
(izvor:mondofutbol)
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