Donnerstag, 29. Oktober 2015

O gradskom derbiju u Mostaru na mondofutbol



O gradskom derbiju u Mostaru pod naslovom “Mostar derby” na stranicama portala mondofutbol.com pisali su novinari Francesco Fiumi i Bruno Bottaro.
Tekst prenosimo u originalu.

Mostar derby

di Francesco Fiumi (@FFiumi) e Bruno Bottaro (@br1bottaro)
Foto: Bruno Bottaro e Francesco Fiumi ©mondofutbol.com

Fudbalski Klub Velež – Hrvatski športski klub Zrinjski: se non si trattasse di uno dei derby più sentiti e caldi del mondo, probabilmente non ci sarebbero altri motivi per raccontarlo.

Non avrebbe praticamente senso parlare di una partita tra la seconda e la penultima del campionato della Bosnia ed Erzegovina: il livello tecnico espresso nei 90’ è piuttosto modesto, rare le occasioni da rete, inclusa quella dell’unico gol del match che regala il successo agli ospiti. Il colpo di testa di Stojkić viene prima salvato dall’estremo difensore del Velež, ma poi la sfera rimpalla su Peco e finisce in rete in maniera quasi tragicomica.
Eppure, siamo a Mostar, seduti in una stanza d’albergo tormentata dalla voce del muezzin della moschea adiacente, e riusciamo a fatica a rimettere insieme i pezzi della giornata.




Siamo frastornati, ciò che abbiamo visto oggi trascende letteralmente il gioco del calcio.

Detto infatti della povertà di gioco mostrata dai 22 in campo, quello che conta è veramente tutto ciò che ruota intorno a questa iconica sfida, anche per noi.
Sono da poco passate le 13, siamo seduti al tavolino del bar più anacronistico dei Balcani. Da fuori sembra un edificio in rovina, la porta si apre a stento su una piccola sala con le pareti in legno impregnate di fumo. Gli avventori non conoscono mezza parola della lingua di Shakespeare, ma un “Dobro jutro. Sarajevsko pivo, hvala” è più che sufficiente a farci servire due birre ghiacciate. Le beviamo con calma, organizzando gli spostamenti della giornata, mentre con la coda dell’occhio fissiamo un drappo colorato appeso alla parete. Ritrae Josip Broz, il maresciallo Tito, su sfondo rosso, il colore predominante del piccolo bar, come sancito dalla sciarpa del Velež appesa alla parete.
Nemmeno il tempo di due sorsi di birra e di una sigaretta che entra un uomo sulla quarantina vestito da muratore. Sguardo fermo, si toglie i guanti e viene verso di noi. “Parlate inglese?”, domanda. Premesso che di certo non sapremmo come rispondergli in bosniaco, per evitare problemi di sorta, non ci resta che fare un cenno di assenso con la testa.

“Sono Asmir, il fratello di Adnan. Mi ha detto di venire a cercarvi e di portarvi da lui”: ci rilassiamo immediatamente e lo salutiamo sollevati.

Adnan è il nostro uomo per la giornata, o almeno dovrebbe esserlo, visto che a due ore dalla partita ci informa con un messaggio su Viber che non riuscirà a presentarsi all’appuntamento concordato per problemi di lavoro.

Lo scenario che ci si apriva a quel punto non era dei più rassicuranti.

Adnan si dimostrava piuttosto possibilista sul fatto che avremmo potuto bussare comunque alla porta della Red Army(il gruppo ultras più importante dei Rođeni del Velež) e chiedere di andare alla partita con loro. Ci aveva portati lui stesso a conoscerli la sera prima, erano sembrati piuttosto tranquilli, una media di un metro e novanta per cento chili, ma tranquilli. La sua presenza, però, aveva certamente fatto la differenza: a questo punto l’idea di ripresentarci da soli nel loro covo non sembrava esattamente una pensata geniale.

Tutto però si risolve con Asmir che ci dice che Adnan ci sta aspettando in una traversa della via principale.

Lo incontriamo poco dopo, tempo di due chiacchiere e ci ha già chiamato un taxi per mandarci allo stadio. Lo dividiamo con due ragazze francesi e un americano, ospiti dell’ostello gestito dai due fratelli. Il tragitto in taxi verso lo Stadion Vrapčići marca subito la differenza di approccio dei due gruppi: appena raccontiamo chi siamo e perché siamo a Mostar, i tre compagni di viaggio ci guardano come se fossimo due pazzi pronti a rischiare la pelle. Una volta davanti all’ingresso principale, la dodicesima volta che il ragazzo americano dice soccer invece di football ci fa capire di dover andare per la nostra strada. Alla faccia delle tre email mandate al club nell’ultimo mese, riusciamo finalmente ad ottenere due accrediti stampa sul posto.

Siamo dentro, meno di un’ora al fischio d’inizio.

Pettorine azzurre con scritto “Press”, un lungo viaggio sulle spalle e tanta adrenalina nelle vene: l’atmosfera inizia ad essere elettrica. L’accredito ottenuto all’ultimo ci permette di attraversare il campo come vogliamo mentre Edin, l’uomo incontrato appena fuori dallo stadio, ci consiglia di prendere posto sulla tribuna stampa.

Una rapida occhiata all’impianto ci suggerisce di fare l’esatto contrario.

La zona riservata ai giornalisti al Vrapčići è un pericolante agglomerato di alluminio, dunque decidiamo di respirare il derby di Mostar nel posto migliore, direttamente sul campo. Il piano è semplice: Bruno sotto il settore ospiti dello Zrinjski, ancora vuoto; Francesco sotto la Red Army del Velež.

Calcio d’inizio.

Ai cori roboanti della Red Army non risponde nessuno: i tifosi dello Zrinjski vengono infatti scortati dentro dieci minuti dopo il calcio d’inizio. Un cordone di poliziotti si prepara all’arrivo dei 250 ultras (questa la cifra riportata dal Dnevni List preso in edicola in mattinata). La scena è surreale, ben diversa dalle aspettative. Alle maglie bianche scese sul terreno di gioco semi-fangoso del Vrapčići si contrappone il colore nero, onnipresente sui vessilli imperiosi dei tifosi dello Zrinjski. Qualche vistoso diverbio con le autorità del luogo ed infine la massa nera prende posto sul piccolo ma infernale settore ospiti.
Dall’altra parte dello stadio, invece, la Red Army è meravigliosa da guardare, soprattutto da sotto il loro settore. L’odio verso gli ospiti si legge sui volti dei tifosi del Velež, andrebbero a fargli la festa, se solo potessero. Nessun contatto tra le due tifoserie, solo tanto disprezzo urlato a squarciagola, a cominciare da “Ubi ubi ustaše!”, il coro preferito di tutte le tifoserie di sinistra di questa parte del mondo. Per la cronaca, ustaše si riferisce agli ustascia di Ante Pavelić, ubi vuol dire uccidere.

Nemmeno la morte, però, riuscirà mai a separare la Red Army dal Velež, perché il motto degli ultras della parte est di Mostar è una vera e propria sentenza: “Mostar u srcu, Velež do groba”, Mostar nel cuore, il Velež anche nella tomba.

L’impressione è che in mezzo a una tremenda crisi di gioco e risultati, dopo essere stati cacciati dal proprio legittimo stadio (lo Stadion pod Bijelim Brijegom, antica casa del Velež situata nella parte ovest della città, oggi ospita le partite dello Zrijnski) al club non restino ormai altro che suoi meravigliosi sostenitori.

Il derby divampa.

Si cercano subito, le due tifoserie: i neo-arrivati chiamano, la Red Army risponde. A mettere d’accordo tutti ci pensa il campo, pronto a donare il verdetto più amaro ai padroni di casa, già penultimi in classifica e lontani dai fasti della loro storia. Passa lo Zrinjski con il suo numero 16, e la massa nera esplode di gioia. Sulle tribune del Vrapčići cade il silenzio, anche se per poco. La Red Army prova a rialzare il morale dei suoi ragazzi, invano.

Quarantacinque minuti se ne sono già andati, l’arbitro fischia.

Noi ci ritroviamo in mezzo al terreno di gioco travolti dalle emozioni, raccontate e vissute in questi giorni che ci hanno trasportato tra i Balcani. Ed era solo l’inizio. Perché nell’avvio del secondo tempo è la Red Army a far sapere al portiere dello Zrinjski che non sarebbe stata una ripresa semplice.

Subito un bengala tra i pali, un’anteprima della vera e propria sospensione del match: passa qualche minuto, non si gioca più.

La gradinata dei Rođeni del Velež tira in campo tutto ciò che capita. A nulla serve l’intervento del capitano Darko Maletic, che sconsolato cammina verso il tunnel degli spogliatoi. Alle sue spalle, una nuvola di fumo e cori scandisce il tempo.

Tutto si ferma.

Per diversi istanti la montagna Velež è l’unico oggetto visibile.
Gli arbitri provano a riportare l’ordine, il fumo si dirada. Ma qualcosa è cambiato, il Velež prova a credere nella rimonta. Qualche tentativo sotto la curva di casa non basta: lo Zrinjski è padrone del campo, il pallone scorre verso un’unica direzione: il novantesimo, minuto in cui il capitano del Velež, Darko Maletic, viene espulso. Profondo rosso, il derby è dello Zrinjski, i cui tifosi sono stati accompagnati fuori all’80’ dall’immancabile cordone di polizia.

Resta solo la Red Army, possente anche in uno dei momenti più difficili della sua storia.

Indimenticabile Mostar.
Don’t forget.

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Autore per MondoFutbol e un master in Sport Business presso Leeds Beckett University. Ha lavorato nel Press Office di FC Internazionale. Scrive su footballnerds.it e ha visto l'Everest, una volta.



(izvor:mondofutbol)

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